Ricorso  della  regione  Emilia-Romagna  in persona del presidente
 della giunta  regionale  rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Alberto
 Predieri  e  presso  il  suo  studio  in  Roma, via Nazionale n. 230,
 elettivamente domiciliata per procura a margine rilasciata  in  forza
 della  deliberazione  n.  762 del 7 marzo 1989 della giunta regionale
 contro il Presidente del Consiglio dei  Ministri  per  l'annullamento
 degli artt. 2, primo e secondo comma, e 4, secondo comma, della legge
 1› febbraio 1989 n. 37, contenimento della spesa sanitaria.
    1.  -  La  norma  posta  dall'art.  2, primo comma, della legge 1›
 febbraio 1989, n. 37, sul contenimento della spesa pone un tetto  per
 le  prestazioni  specialistiche in regime di convenzionamento esterno
 il cui sfondamento non e' dichiaratamente posto a carico dello  Stato
 o  del  fondo sanitario nazionale, quindi, di necessita', e' a carico
 delle regioni. Le quali vengono penalizzate per un  comportamento  di
 superamento  delle  spese  di  convenzionamento  rispetto  alla spesa
 dell'anno precedente maggiorata  secondo  le  statuizioni  del  comma
 predetto,  come se la spesa fosse da loro governabile, mentre essa e'
 indipendente. Ne' alle regioni sono attribuiti poteri che  consentano
 di   effettuare   quegli   interventi   che   potrebbero  portare  al
 contenimento. Si lede, in tal modo, l'autonomia regionale tanto sotto
 il  profilo  degli  artt.  117  e 118 della costituzione quanto sotto
 quello dell'art. 119, addossando alle regioni un carico irragionevole
 e  ingiustificato,  con  una  violazione dei canoni di ragionevolezza
 riconducibili all'art. 3 primo commma cost. e  imponendo  un  impiego
 delle  risorse  finanziarie attribuite alle regioni in violazione dei
 principi degli artt. 117, 118 e 119 o  di  nuovo  dell'art.  3  della
 Costituzione nell'aspetto ora ricordato.
    2.  -  La  relazione alla Camera dei deputati 3198, X legislatura,
 riconosce che di per se' la  misura  contenuta  nel  ricordato  primo
 comma  dell'art.  2  appare  "velleitaria perche' opera sugli effetti
 delle  decisioni  tecniche  dei  medici  e  non  sul  momento   della
 assunzione delle decisioni" aggiungendo, per cercare di salvarla, che
 essa dev'essere considerata nel contesto di altre misure, "la lettura
 ottica  delle  ricette  che consente di valutare il comportamento dei
 medici" "la funzione di ispettorato, che consente all'amministrazione
 centrale  di  intervenire tempestivamente nelle situazioni di consumi
 abnormi". Se questo fosse vero, non  si  vede  perche'  dovrebbe  far
 carico alle regioni che non sono l'amministrazione centrale, di dover
 pagare   con   i   fondi   ad   esse   assegnati   le   insufficienze
 dell'amministrazione  centrale. Nella realta', non si vede come anche
 l'amministrazione centrale possa intervenire: si puo' aggiungere  che
 e'  difficile vedere chi possa intervenire nell'arco di un esercizio,
 tanto meno modificando i  piani  come  pare  suggerire  la  relazione
 governativa.  E'  evidente  anche  ad  un  osservatore frettoloso che
 perche' si formi la  catena  produzione  del  fenomeno  distorsivo  -
 derivante  dalle  decisioni  tecniche dei singoli medici - percezione
 del fenomeno - verifica  -  predisposizione  del  rimedio  correttivo
 (posto  che rimedi vi siano, e sicuramente non nell'ambito dei poteri
 regionali). non bastano dieci mesi; cosicche'  l'addossare  ai  fondi
 regionali  alla  fine  del  1989 l'aggravio derivante dalle eventuali
 decisioni dei medici, dagli  eventuali  mancati  accertamenti  e  via
 dicendo non trova nessuna ragionevole motivazione o spiegazione.
    Essa  manca  ancor  di piu' se teniamo conto delle decisioni della
 Corte. La quale nella sentenza n. 245/1984 (punto 11 in diritto) dopo
 aver  passato  in  rassegna  le  competenze delle regioni, in materia
 sanitaria concludeva "senonche' nessuna di queste competenze basta  a
 far  concludere  che  le  Amministrazioni  regionali  portino  dunque
 l'effettiva responsabilita' degli eventuali  disavanzi  delle  unita'
 sanitarie  locali.  Assunti del genere sono oltretutto smentiti dalla
 considerazione che la  parte  essenziale  della  spesa  sanitaria  ed
 ospedaliera non puo' non gravare sullo Stato - come e' confermato dal
 susseguirsi dei fondi speciali  di  cui  si  e'  fatto  cenno  -  per
 l'evidente  ragione  che  il  diritto alla salute spetta egualmente a
 tutti  i  cittadini  e  va   salvaguardato   sull'intero   territorio
 nazionale.  Non  e'  pertanto  causale  che la spesa in questione sia
 prevalentemente rigida e non si presti a venir manovrata, in  qualche
 misura se non dagli organi centrali di governo. E' appunto l'esigenza
 di pari trattamento, sottesa all'intera riforma sanitaria, che spiega
 per  quali motivi le singole regioni non possano - almeno di regola -
 incidere sulla spesa farmaceutica e sugli altri oneri derivanti dalle
 prescrizioni mediche, sui ricoveri ospedalieri, sullo stato giuridico
 ed economico del personale dipendente dalle unita' sanitarie  locali,
 sul  regime  del  personale  a  rapporto  convenzionale, sugli stessi
 acquisti dei beni e dei servizi indispensabili per  il  funzionamento
 delle unita' sanitarie locali".
    "E'  soltanto  lo Stato che dispone - proseguiva la Corte - ancora
 una volta, della potesta' di circoscrivere in tal senso la spesa, per
 mezzo  dell'introduzione di tikets o con il ricorso ad altre analoghe
 misure di contenimento. In breve, gran parte della spesa sanitaria si
 forma  indipendentemente  dalle  scelte  regionali  (e  dalle  stesse
 deliberazioni  degli  organi  di  gestione  delle  unita'   sanitarie
 locali)".
    Aggiungeva   la  Corte  (a  proposito  dell'art.  29  della  legge
 finanziaria 1984 impugnata ma a maggior ragione puo' essere detto  di
 quella  qui  denunziata)  che  "di questo dato l'art. 29 non tiene il
 minimo  conto,  imponendo  comunque  alla  Regione  il  ripiano   del
 disavanzo,  quali  che  siano  i  fattori  che  lo abbiano prodotto".
 Pertanto  la  Corte  dichiarava  l'illegittimita'  della  norma   che
 addossava  alle regioni il disavanzo dovuto ad attivita' delle unita'
 sanitarie locali.
    Dopo  che  la  Corte  era pervenuta a quelle conclusioni, i poteri
 delle  Regioni  non  sono  aumentati,  casomai,  sono  stati   erosi;
 cosicche'   a  maggior  ragione  i  presupposti  da  cui  muoveva  la
 conclusione della sentenza  restano  validi,  e  utili  nel  caso  in
 questione.
    3.  -  Con  la  norma  dell'art. 2, secondo comma, con la quale al
 Ministro vengono attribuiti poteri di introdurre qualsivoglia  misura
 di  ogni  genere  o  tipo,  senza  specificazione  di  criteri, viene
 stavolto l'ordine delle competenze in  violazione  del  principio  di
 legalita' riaffermato dalla Corte nella sentenza n. 150/1982, con una
 irragionevole  violazione  del   sistema   del   servizio   sanitario
 nazionale,  che  viene modificato in modo episodico e disorganico per
 sostituire a quello vigente un mosaico di poteri affidati al Ministro
 per  intervenire  nelle  scelte di merito, nel coordinamento (art. 2,
 secondo comma, lett. b), nelle prescrizioni per la diagnostica, nella
 razionalizzazione della diagnostica strumentale e via dicendo.
    Le   misure,   che   vengono  attribuite  al  Ministro,  non  sono
 riconducibili a nessun tipo individuato dalla legge e a  nessun  tipo
 individuabile,   con   un  riferimento  talmente  generico  che  puo'
 comportare   qualsiasi   atto.   Cosicche'   sono   pensabili   tanto
 provvedimenti  che  il  Ministro  assuma  caso  per caso (e in questa
 ipotesi  vi  e'  un  nuovo  aspetto  di  invasione  delle  competenze
 regionali)  con  stravolgimento  dei  criteri e principi basilari del
 sistema  che  non   consente   all'apparato   di   governo   centrale
 provvedimenti  di  dettaglio che spettano agli enti istituzionalmente
 preposti  alle  funzioni  e  gestioni  amministrative,  quanto   atti
 normativi  o  paranormativi  o  pseudonormativi sul genere di schemi,
 moduli, di cui l'esperienza di sfilacciamento della riforma sanitaria
 fornisce  esempi  continui (e anche in questa ipotesi vi e' invasione
 delle  competenze  regionali  sotto  un  diverso   profilo)   quanto,
 addirittura  misure  repressive  o sostitutive o sanzionatorie. Lo fa
 sospettare l'ambigua formula "misure finalizzate alla definizione, da
 parte  delle regioni delle attivita' di day hospital alternative alla
 degenza ospedaliera, all'effettuazione di indagini strumentali  e  di
 laboratorio  che  di  norma  esulano dalla competenza delle strutture
 pubbliche extraospedaliere" collegata  ad  un  decreto  ministeriale,
 peraltro   illegittimo,   che   contiene   previsioni  di  interventi
 sostitutivi.
    4. - L'art. 4 poi (che mancava nel decreto-legge 30 dicembre 1988,
 n. 546, che ha originato la legge n. 39/1989), sotto  la  rubrichetta
 "misure in materia di attuazione del contratto di lavoro", disciplina
 nel secondo comma il potere di accesso disposto  dal  Ministro  della
 Sanita'  integrandolo  con  la potesta' di effettuare ispezioni sulla
 attuazione del piano sanitario e  per  la  vigilanza  della  gestione
 della unita' sanitarie locali.
    L'irragionevolezza della norma viene sottolineata dalla confusione
 fra contenuto e finalita' dichiarate, essa somma ed e'  il  mezzo  in
 cui   si   estrinseca   la  violazione  dell'art.  117  e  118  della
 Costituzione e del resto si riconduce al modo di introdurre modifiche
 alla  legge  sanitaria a pezzi e bocconi, mascherati da "contenimento
 di  spesa"  anche  se  con  la  spesa  non  hanno  nulla  in   comune
 disattendendo,  ancora  una  volta,  i moniti della Corte. Essa nella
 sentenza n. 284/1985 diceva: "conclusivamente tuttavia, la Corte deve
 ancora  rilevare  come  l'intera vicenda delle impugnazioni regionali
 concernenti le 'disposizioni in materia sanitaria' valga a comprovare
 l'esigenza  che il Parlamento riconsideri organicamente l'ordinamento
 e snellita - secondo lo schema predisposto dal Ministro della sanita'
 -  l'organizzazione  interna  delle unita' sanitarie locali. Occorre,
 del pari,  che  si  faccia  chiarezza  nell'attuale  intreccio  delle
 competenze,  spettanti  ai  vari  tipi di apparati corresponsabili in
 materia, evitando in particolar modo l'eccessiva moltiplicazione  dei
 centri  di  autonomia,  sia  pure  attuata nel formale rispetto della
 Costituzione. Ed e' ben chiaro,  d'altronde,  che  non  servono  allo
 scopo  le leggi finanziarie, ne' gli altri provvedimenti di carattere
 urgente o comunque contingente: la' dove sono  in  gioco  funzioni  e
 diritti   costituzionalmente   previsti   e   garantiti,  e'  infatti
 indispensabile superare la prospettiva del  puro  contenimento  della
 spesa  pubblica,  per  assicurare  la certezza del diritto ed il buon
 andamento  delle  pubbliche  amministrazioni,   mediante   discipline
 coerenti e destinate a durare nel tempo".
    5.  -  Con  la  norma contenuta nell'art. 4 viene invasa una sfera
 riservata alla regione in cui lo Stato puo'  intervenire  al  livello
 del  coordinamento, non mai dettando norme di dettaglio in materia di
 competenza  regionale,  da  disciplinare  con  legge  regionale,  ne'
 assumendo poteri di amministrazione attiva (se tale e' da considerare
 la vigilanza) ne' inventando forme  inammissibili  di  controllo  che
 vanno  a  sovrapporsi  a  quelle tipizzate dalla costituzione, oppure
 tentando di risuscitare in modo obliquo  (addirittura  ricorrendo  al
 travestimento)  una  disposizione  dell'art.  192  del testo unico 27
 luglio  1934,  n.  1265,  che  era  stato  abrogato   dal   mutamento
 istituzionale  sancito  dal  d.P.R.  n.  616/1977  e  dalla  legge n.
 833/1978 come del resto, e' riconosciuto particolarmente dall'art. 49
 della  legge  n.  833/1978 e dall'art. 27, terzo comma, del d.P.R. n.
 616/1977.
    La violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione si realizza
 violando  altresi'  l'art.  97  della   Costituzione,   sovrapponendo
 competenze, in modo contrario alla logica del sitema. Essa da un lato
 esclude che il Ministro sia  il  superiore  gerarchico  delle  unita'
 sanitarie  locali,  come  delle  regioni,  e, dall'altro, articola il
 piano nazionale sanitario in piani regionali, demandando allo  stesso
 piano  caratterizzato  da paricolari procedimenti che assicurano (fra
 l'altro) la presenza delle regioni di detrminare le procedure per  la
 verifica  dell'attuazione del piano (art. 53, lett. i) della legge n.
 833/1978) e determinare il concatenamento dei piani.
    Le  attivita'  di  vigilanza  direttamente  previste  nell'art. 4,
 secondo comma (e le verifiche indirettamente previste)  sono  di  due
 tipi. Il primo e' quello di attuazione del piano sanitario nazionale.
 Questo piano notoriamente non esiste e ad oggi a  undici  anni  dalla
 emanazione  della  legge istitutiva del servizio sanitario appartiene
 al mondo dei fantasmi. Se pero' esso esistesse, la sua  articolazione
 in  piani  regionali, come abbiamo detto, non consentirebbe vigilanze
 limitate al solo piano ma comporterebbe una vigilanza estesa ai piani
 attuativi del piano nazionale, e quindi, un ulteriore invasione delle
 competenze regionali.
    Il  secondo  tipo di vigilanza e di verifiche riguarda la gestione
 delle unita' sanitarie locali, con una  indeterminatezza  di  oggetto
 per il mancato riferimento a norme, fatti, programmi singoli, perche'
 "gestione" vuol dire l'intera attivita' si ha  generico  conferimento
 di una potesta' che non e' affatto "funzionale a scelte operate dalla
 legge" (come esigeva la sentenza  Corte  costituzionale  n.  64/1987,
 punto  7,  in  diritto) perche' la potesta' e' completamente libera e
 pertanto illegittima (Corte costituzionale n. 64/1987,  punto  7,  in
 diritto).
    L'assoluta  genericita'  delle  previsioni appare tanto piu' grave
 stando alle dichiarazioni rese dallo stesso ministro protempore Carlo
 Donat Cattin alla XII commissione della Camera bollettino commissioni
 13 novembre 1988 p. 13, secondo cui la  "previsione  potra'  dare  un
 segnale  anche  se e' consapevole che l'effetto di contenimento della
 spesa sara' modesto"; con cio' appalesando  il  divario  fra  i  fini
 dichiarati  dalla  norma  del  secondo  comma  dell'art. 4 introdotta
 all'ultimo momento,  non  certo  per  un  organico  disegno  volto  a
 raggiungere scopi individuati, "misure di attuazione dei contratti di
 lavoro", i fini dichiarati dalla legge n. 37/1989 "Contenimento della
 spesa  sanitaria"  e  la realta' di una norma che introduce poteri di
 totale e incontrollata discrezionalita'  in  tutta  l'amministrazione
 attiva  per  esercitare  poteri  che  non contengono la spesa, ne' si
 propongono di contenerla,  ma  il  cui  esercizio  e'  lasciato  alla
 discrezionalita' incontrollata, cioe' all'arbitrio del Ministro.
    Con  tale  formula, per di piu', si e' sovrapposto un altro potere
 di amminitrazione attiva (se tale e' quello di vigilanza)  ai  poteri
 istituzionali  delle  regioni, violando le loro competenze e violando
 il principio di legalita' o sovrapponendo un controllo (se tale e' la
 vigilanza)  al  sistema  di controlli, previsti dagli artt. 125 e 130
 della Costituzione con violazione del combinato disposto dagli  artt.
 117 e 118 e dagli articoli ora ricordati.
    6.  -  Il  conferimento  del  potere  di  ispezione  previsto  nel
 ricordato secondo comma dell'art. 4, in quanto connesso a  quello  di
 vigilanza,  e'  viziato  per  le  ragioni gia' accennate. Se pero' si
 volesse sostenere che la potesta' ispettiva non viene fatta  derivare
 da  un  potere  gerarchico  o  di supremazia speciale - insussistente
 tanto nella prima versione  quanto  nella  seconda  -  ma  dev'essere
 considerata   potesta'   autonoma   indipendente   dalle   competenze
 dell'organo, configurandola come potesta' finale e  non  strumentale,
 le  conseguenze  non rientrerebbero, lasciando anche da parte che tal
 configurazione e' contraddetta, nel  caso  denunciato,  dalla  stessa
 formulazione  della  norma  che  attribuisce un carattere strumentale
 rispetto alla  vigilanza,  il  conferimento  della  potesta'  sarebbe
 comunque  lesivo  dall'ordine  delle  competenze  regionali,  perche'
 introdurrebbe  un  potere  non  riconducibile  alll'indirizzo  e   al
 coordinamento  attribuiti  allo  stato,  in  quanto  non  servente  o
 strumentale, ma autonomo, perche' tale sarebbe l'ipotesi di partenza.
    7.   -   Un'ulteriore  lesione  delle  competenze  regionali  deve
 ravvisarsi nell'introduzione di una sottrazione di  duecentocinquanta
 unita' di personale delle unita' sanitarie locali che viene comandato
 dal Ministro della sanita' presso il Ministero medesimo invadendo una
 area  qual  e' quella degli organici delle unita' sanitarie locali di
 competenza regionale come a piu' riprese  e'  stato  affermato  dalla
 Corte costituzionale.